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La reazione a catena della polimerasi, o PCR, è considerata al momento la tecnica di diagnosi per il COVID-19 più accessibile e affidabile. Vi spieghiamo come funziona.
Nelle ultime settimane non si fa che parlare dei kit diagnostici per il COVID-19. Tra polemiche circa la disponibilità e le categorie a cui sottoporre il test, diventa importante capire in che cosa consistono i principali metodi di diagnosi del Coronavirus. Tra questi, viene nominata spesso la PCR. Di che cosa si tratta?
Avremo sentito dire che “il metodo PCR è il più completo e affidabile”. L’alto tasso di attendibilità e il basso numero di falsi positivi hanno spinto l’OMS a consigliarlo come principale metodo di diagnosi del Coronavirus. Vediamo, quindi, nel dettaglio che cos’è e come funziona.
Il Coronavirus, patogeno del covid-19, è un agente virale composto da un singolo filamento di RNA (è dunque classificato come RNA monocatenario a polarità positiva). Il DNA e l’RNA sono le “impronte digitali” più affidabili di un organismo.
La sequenza dei nucleotidi, le unità che costituiscono gli acidi nucleici, rivelano l’identità del possessore; composta da una sola catena di informazioni, la presenza del Coronavirus nel corpo umano è inequivocabile: se è presente nel campione biologico, significa che il paziente è infetto.
Per prima cosa, è stato necessario partire dal sequenziamento del genoma virale. Il primo campione è stato genotipizzato già l’11 gennaio (ecco l’intera sequenza). La sequenza di lettere che si può osservare corrisponde all’ordine dei nucleotidi della catena RNA del virus. Ogni nucleotide contiene una base azotata, corrispondente alla lettera rappresentata:
Sarete colpiti dal notare che non vi è una sola U nel genoma del coronavirus. Continuate a leggere perché vi spieghiamo il motivo.
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Una volta sequenziato il virus, entra in gioco l’efficacia della PCR (Polymerase Chain Reaction). Questa tecnica in realtà risale agli Anni 80 e ha come obiettivo amplificare il DNA di un campione.
Qui risiede la prima trappola del Coronavirus: il SARS-CoV-2 non ha DNA, ma solo RNA. Motivo per cui è necessaria una tecnica ancora più sofisticata: la RT-PCR, che serve a trasformare l’RNA del virus in DNA. Per indurre questa reazione, è essenziale un enzima denominato “trascrittasi inversa”. Il processo è il seguente:
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Una volta amplificato il DNA, esistono diverse tecniche che permettono di assegnarlo a un virus o un altro organismo. Una delle più semplici è l’elettroforesi su gel di agarosio. Useremo questo esempio per semplicità, ma bisogna tenere presente che il lavoro viene eseguito da sofisticati sequenziatori.
I frammenti di DNA hanno carica elettrica negativa. In virtù di questa caratteristica, applicando un campo elettrico a un contenitore di gel di agarosio, i diversi frammenti si spostano nel gel, attratti dal polo positivo. Possiamo immaginarla come una corsa: i frammenti di DNA più leggeri arrivano prima, i più grandi restano a metà strada.
È questa la chiave per il rilevamento: la formazione di bande differenziate all’interno del gel. Facendo un esempio, analizzando frammenti di DNA di padre e figlio, il gel di agarosio dei due campioni dovrebbe presentare lo stesso schema, confermando la loro affinità genetica.
Naturalmente i metodi di rilevazione del Coronavirus sono più complessi dell’esempio descritto, ma speriamo che questa spiegazione sia utile a chiarire un po’ il funzionamento della PCR e il suo ruolo essenziale nella diagnosi delle malattie.