Il salasso terapeutico è una procedura in cui viene prelevata una considerevole quantità di sangue al fine di migliorare le condizioni cliniche dei pazienti. Questa tecnica, nota anche come flebotomia, era praticata frequentemente nell’antichità. Le molteplici indicazioni in cui veniva utilizzata rispondevano più alle credenze dell’epoca che a un’efficace cura delle malattie.
In effetti, molte di queste procedure hanno fatto più male che bene. Per questo motivo, con l’avvento della scienza e con una migliore comprensione dei fenomeni fisiopatologici coinvolti, il salasso cadde progressivamente in disuso, venendo sostituito da cure più coerenti con l’origine della malattia. Tuttavia, esistono ancora alcune indicazioni in cui la flebotomia rimane uno strumento utile.
Salasso terapeutico: in cosa consiste?
La procedura consiste nel collegare ad una vena periferica (di solito nell’avambraccio) un kit di estrazione, composto da un ago e una sacca di raccolta da 500 ml.
È importante sottolineare che il volume estratto dipende dalla finalità terapeutica, dall’età e dalle condizioni cliniche del paziente. Grazie all’ausilio di una bilancia è possibile monitorare in tempo reale il volume che si sta prelevando.
La procedura dura in totale tra i 20 e i 40 minuti e viene eseguita con il paziente in posizione semi-seduta. La posizione della sacca di raccolta dovrebbe essere al di sotto del livello del braccio, allo scopo di consentire l’estrazione del sangue per gravità.
Considerazioni importanti
Il paziente a cui viene prescritto il salasso terapeutico deve essere sottoposto ad una valutazione preliminare, con registrazione dei suoi parametri vitali e con la motivazione della scelta terapeutica. È importante che sia idratato e abbia mangiato bene. Dopo la procedura, dovrà bere una buona quantità di liquidi ed evitare improvvisi cambiamenti di posizione.
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Quando viene utilizzato il salasso terapeutico?
Per secoli, il salasso terapeutico è stata una procedura comune per il trattamento di varie condizioni. Sebbene la tecnica fosse rudimentale, l’obiettivo era estrarre abbastanza sangue per eliminare la causa della malattia, che si credeva risiedesse lì.
Sebbene nei secoli scorsi venisse utilizzata in modo ampio, attualmente sono poche le condizioni cliniche in cui la flebotomia è applicata a scopo terapeutico. E, anche in questi casi, la sua pratica continua ad avere forti opposizioni e critiche.
Emocromatosi ereditaria
L’emocromatosi ereditaria (HH) è una malattia congenita a trasmissione autosomica recessiva; costituisce l’alterazione genetica più frequente del metabolismo.
In questi pazienti, è presente un aumento dell’assorbimento di ferro dalla dieta, che fa sì che il metallo si accumuli progressivamente nel corpo. Le manifestazioni cliniche variano notevolmente e ci sono anche casi in cui non compaiono sintomi.
Il trattamento si basa sulla diminuzione graduale dei depositi di ferro e sul conseguente mantenimento di valori adeguati dello stesso, perché l’eccesso del metallo danneggia diversi organi del corpo, soprattutto fegato, cuore e pancreas.
Pertanto, questa è una delle condizioni in cui la flebotomia terapeutica continua ad essere valida oggi. Infatti, il trattamento precoce previene la progressione verso la cirrosi epatica e migliora la sopravvivenza in questi pazienti.
Nelle fasi iniziali, la frequenza del salasso varia tra 1 e 2 settimane, a seconda delle condizioni della persona e della sua tolleranza alla tecnica. La durata del trattamento va da sei mesi a due anni.
Raggiunti i valori normali, viene effettuato un follow-up periodico e valutata la necessità di stabilire delle linee guida terapeutiche di mantenimento in cui i salassi siano distanziati nel tempo.
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Controindicazioni nei pazienti con HH
Non tutti i casi sono adatti a questo trattamento, quindi un’altra opzione terapeutica è l’eritroaferesi. Quando nessuno di questi trattamenti può essere attuato, si può ricorrere all’uso di chelanti del ferro. Tuttavia, questi non hanno mostrato una buona efficacia. Il salasso terapeutico è controindicato nelle seguenti situazioni:
- Malattia coronarica.
- Insufficienza cardiaca congestizia.
- Anemia.
- Età avanzata.
Salasso terapeutico nella porfiria cutanea tarda
Un’altra condizione che può essere associata all’accumulo di ferro nel corpo è la porfiria cutanea tarda. In questa patologia è colpito un enzima epatico responsabile della degradazione delle porfirine, per cui queste molecole risultano aumentate.
Le principali manifestazioni cliniche comprendono la comparsa di lesioni sulle aree esposte della pelle (fotosensibilità) e vari gradi di compromissione della funzionalità epatica.
In questi soggetti l’esecuzione di flebotomie ripetute è una terapia di prima scelta, il cui obiettivo è ridurre i livelli di ferro. Il motivo è che, oltre al fatto che l’eccesso di metallo provoca danni agli organi, porta anche all’inibizione dell’enzima epatico. Pertanto, riducendo questi depositi, l’enzima viene rilasciato, con la conseguente diminuzione delle porfirine accumulate.
Linee guida terapeutiche nella porfiria cutanea tarda
L’indicazione al trattamento con salasso deve essere individualizzata con controlli periodici degli indici ematici. In termini generali le estrazioni vengono distanziate nel tempo fino al raggiungimento di valori accettabili.
Tuttavia, a causa della tendenza a produrre recidive, è necessario valutare la necessità di terapie di mantenimento. In questi pazienti è stato descritto anche l’uso di antimalarici in combinazione con il salasso.
Sindrome di Eisenmenger
Diverse cardiopatie congenite portano ad un aumento delle resistenze vascolari polmonari, con la conseguente comparsa di ipertensione polmonare. Nei casi più gravi si sviluppa la sindrome di Eisenmenger.
In questo processo, a causa di vari meccanismi patologici, si verifica un’ostruzione al flusso sanguigno nei capillari dei polmoni, ostacolando lo scambio di ossigeno e innescando l’ipossiemia.
Di conseguenza, l’organismo cerca di compensare questo deficit con una maggiore produzione di eritrociti, incaricati di trasportare l’ossigeno alle diverse cellule del corpo. Tuttavia, con un maggior numero di eritrociti circolanti nel flusso sanguigno, aumenta la proporzione degli elementi formati del sangue (ematocrito), il che porta ad un aumento della sua viscosità.
Questa minore fluidità innesca sintomi raggruppati sotto il termine sindrome da iperviscosità, che possono essere alleviati eseguendo una flebotomia terapeutica.
Tuttavia, a differenza dell’emocromatosi, nella sindrome di Eisenmenger questa tecnica non è un trattamento definitivo. Inoltre, la sua applicazione porta ad una diminuzione delle riserve di ferro e, pertanto, deve essere considerata con cautela in ogni paziente.
Malattie polmonari croniche e flebotomia terapeutica
Allo stesso modo, varie condizioni polmonari portano a ipossia cronica e aumento della produzione di eritrociti, con il conseguente sviluppo della sindrome da iperviscosità.
Per questo motivo, il salasso può essere considerato un’opzione per trattare i sintomi e migliorare le condizioni dei pazienti. Tuttavia, gli studi esaminati non consentono un follow-up a lungo termine, rendendo discutibile il beneficio della tecnica.
La controversia sulla flebotomia terapeutica
Alcuni autori invitano a riflettere sullo scarto sistematico del sangue prelevato da pazienti con emocromatosi in molti paesi. È dimostrato che la qualità dei prodotti sanguigni di questi pazienti è uguale o migliore di quella dei normali donatori della banca del sangue. Inoltre, ritengono che lo smaltimento di queste unità sia uno spreco inestimabile, poiché l’esecuzione del salasso è solitamente periodico.
Allo stesso modo, sostengono che l’unica giustificazione per non consentire l’uso di questi componenti è che non si tratta in sostanza di una donazione altruistica, perché il paziente ne trae un beneficio per la salute.
Avvertono però che dopo il prelievo di sangue, la decisione di donare o meno deve essere considerata un atteggiamento disinteressato. Pertanto, sottolineano che è necessario valutare questa possibilità. Questi stessi autori chiariscono che, trattandosi di una malattia genetica, l’emocromatosi ereditaria non si trasmette attraverso le trasfusioni.
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