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Fare del bene: un modo meraviglioso di prendersi cura del cervello
· 13 Ottobre 2016
Anche se a volte è difficile da credere, siamo “programmati" per fare del bene. E, oltre a questo, la bontà fa bene alla nostra salute e, inoltre, è contagiosa
Fare del bene giorno dopo giorno non solo è un modo per creare scenari più rispettosi e sensibili. Qualsiasi azione carica di reciprocità e di bontà si riflette sulla nostra salute mentale.
Sappiamo che alcuni di voi penseranno che “seminare” il bene non sempre ci aiuta a “raccogliere” rispetto.
Tuttavia, anche se sulle nostre spalle pesa più di un tradimento e sui nostri cuori diverse delusioni, c’è un aspetto chiaro: si vive molto meglio se manteniamo in sintonia quello che proviamo e quello che facciamo.
Oltre a ciò, per quanto possa stupirci, il nostro cervello è geneticamente programmato per fare del bene. Capita, però, che nella vita quotidiana pesano di più altre tendenze biologiche, come l’invidia o il rancore.
Vi invitiamo ad approfondire questo argomento così interessante.
Il nostro cervello capisce che è importante fare del bene
Jerome Kagan è un noto professore dell’Università di Harvard, specialista nella cosiddetta “psicologia della bontà”.
Secondo lui, gli esseri umani sono geneticamente programmati per fare del bene. Tutti noi, in altre parole, arriviamo a questo mondo con un “programma” installato per essere buoni.
Tuttavia, non sempre è così e ce lo dimostra l’esperienza lungo il corso della storia. Perché avviene questo?
Se il nostro cervello sa che agire con compassione e rispetto è necessario, perché c’è chi non lo capisce e fa tutto il contrario? Ve lo spieghiamo a seguire.
La bontà ci permette di sopravvivere come specie
Charles Darwin a suo tempo formulò la stessa tesi del professor Jerome Kagan. Il cervello dell’essere umano è programmato per fare del bene perché, in questo modo, si garantisce la sopravvivenza della specie.
Gli atti benevoli, inoltre, ci permettono di capire che abbiamo molte più possibilità di sopravvivere se possiamo contare su un gruppo unito piuttosto che restando soli.
Le persone sono empatiche perché, in questo modo, è possibile intuire le necessità altrui e, dunque, offrire aiuto e garantire la sopravvivenza del gruppo.
Perché le buone azioni non abbondano come dovrebbero?
È curioso sapere che, nonostante siamo geneticamente programmati per fare del bene, il nostro comportamento fino ad oggi non ha fatto altro che mettere in pericolo l’equilibrio del nostro pianeta.
Guerre, inquinamento ambientale, disuguaglianze sociali, violazioni dei diritti umani… Perché agiamo in questo modo?
David Keltner è professore alla Berkeley University (Stati Uniti) e direttore del Centro di Ricerca della Bontà.
Secondo quanto ci spiega, il modo in cui sono costruite le nostre società ci induce più all’individualismo che alla consapevolezza di gruppo.
Quando iniziamo a pensare in termini di interessi personali, la nostra bilancia biologica propende per l’invidia, la rabbia, la violenza e la competizione. Mai verso la bontà.
La bontà e il desiderio di fare del bene non sono utili se desidero alzarmi con più soldi e maggiore riconoscimento sociale.
Dimensioni psicologiche quali il rancore, l’invidia o lo stress causati dalla continua competizione compromettono la nostra salute fisica ed emotiva.
Tutti, in qualche momento della nostra vita, ci siamo fatti trasportare da queste derive personali.
Poco a poco ci siamo resi conto che agire o sentirsi in questo modo non è adeguato, perché ci allontana dalle nostre essenze, dalle nostre radici.
Potremmo dire che il nostro cervello sa molto bene che queste tendenze biologiche verso le azioni negative ci impediscono di entrare in connessione con gli altri e ci conducono ad una disperata solitudine, davvero poco gradevole.
Fare del bene si riflette in modo positivo sul nostro equilibrio interiore, ci apporta pace e benessere.
Non importa se gli altri non si rendono conto di queste piccole buone azioni che coltiviamo ogni giorno. Noi lo sappiamo e ci basta, perché ci permette di essere in armonia con noi stessi e di riconoscere cosa è giusto; questa sintonia interiore ci offre una musica che ci piace e che ci compiace.
La bontà e la compassione attivano strutture cerebrali molto potenti come il sistema limbico. Una persona compassionevole è più intuitiva, più recettiva e più consapevole di tutto quello che la circonda.
Anche se intorno a noi non vediamo azioni ricche di rispetto e bontà autentica, questa realtà non deve farci zoppicare e ancor meno indurci ad imitare questa medesima decadenza generale.
Ci crediate o meno, la bontà è contagiosa. Non dimenticate di dover essere il miglior esempio per i vostri figli, il miglior modello per amici e familiari.
Le piccole azioni fanno molto e se tutti noi accendessimo i motori della bontà giornaliera, vedremmo eccellenti risultati a lungo termine.
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