
Le tradizioni di capodanno nel mondo ci ricordano che ogni inizio è sacrosanto ed eterno. Lo festeggiavano già i nostri…
Dopo che le hanno diagnosticato la malattia, i medici hanno consigliato a Marieke Vervoort di mantenersi attiva. Nello sport ha trovato un motivo per andare avanti. Con le Olimpiadi di Rio 2016 è arrivata a quota 3 medaglie olimpiche.
Marieke Vervoort è una donna che lotta tutti i giorni. Questa atleta belga di 37 anni ha preparato le carte per l’eutanasia nel 2008 e, nonostante abbia ben chiaro che non è ancora arrivato il suo momento, sa che arriverà e sa anche come vorrà morire.
Tutti sappiamo che non abbiamo sempre il controllo su quello che la vita ci riserva. Malattie, incidenti, fatti inaspettati… sono come dei colpi che ci modellano e ci mettono alla prova. Non possiamo scegliere cosa la vita ha intenzione di darci, ma a volte possiamo scegliere come morire.
Marieke Vervoort ha sollevato ancora una volta il dibattito sull’eutanasia, suscitando non pochi pettegolezzi e voci riguardo al suo addio a questo mondo dopo le ultime paralimpiadi a cui ha partecipato.
Non è del tutto vero. Ma le sue parole, piene di coraggio, saggezza e sensibilità, hanno impressionato il mondo intero. Se condividiamo o meno la scelta dell’eutanasia, l’unica cosa che merita questa grande donna è profondo rispetto e completa ammirazione. Oggi vogliamo raccontarvi la sua storia.
Marieke Vervoort vive con l’intensità di chi vuole provare qualsiasi cosa. Ogni giorno che passa, ogni immagine, ogni suono, ogni boccata di ossigeno. Tuttavia, secondo l’atleta stessa, quella alle scorse Olimpiadi sarà la sua ultima partecipazione.
Marieke è affetta da una malattia muscolare degenerativa che l’ha costretta a stare su una sedia a rotelle fin da giovane età. Il vero problema non è l’invalidità in sé, quanto la sofferenza fisica che lamenta ogni giorno che passa.
Leggete anche: Lasciar perdere: non darsi per vinti, ma accettare ciò che non si può cambiare
Fin da subito Marieke sapeva cosa le sarebbe successo. Dopo la diagnosi della malattia, secondo quanto ha affermato, ha pensato subito al suicidio. Ma è successo qualcosa. I medici le dissero che un modo per migliorare la sua qualità di vita era mantenersi attiva.
Lo sport è lotta ed è sopravvivenza. Lei ci ha provato e ha trovato un motivo per andare avanti. Iniziò a giocare a pallacanestro sulla sedia a rotelle. Poi provò le immersioni e il nuoto, ma è stato il triathlon a permetterle di ritrovare se stessa, a regalarle numerosi premi e riconoscimenti.
Nel 2006 è diventata campionessa mondiale di paratriathlon, un titolo che ha mantenuto per due anni di fila. Tuttavia, nel 2008 la malattia è peggiorata al punto da impedirle di continuare con il triathlon. La sua vita si è fermata.
I suoi concittadini l’hanno sostenuta e le hanno chiesto di raccontare la sua storia, di andare in televisione a rilasciare la sua testimonianza. Il suo corpo non riusciva più a praticare lo sport che tanto amava e lei sapeva che in pochi anni l’avrebbe abbandonata per sempre, così come la vista.
Dopo aver abbandonato il triathlon, si è dedicata al blokarting, un tipo di kart con vele che si sposta grazie al vento, categoria che l’ha vista campionessa nel 2011. Successivamente, si è specializzata nell’atletica su sedia a rotelle. Dopo essere stata inclusa nella categoria T-52, ha polverizzato i precedenti record continentali.
Leggete anche: L’esoscheletro che permette ai bambini paraplegici di camminare
Quando diventerà totalmente cieca, quando il suo corpo non le apparterà più, ma sarà vinto dal dolore e dalla paralisi totale, allora Marieke dirà addio a questo mondo. L’eutanasia non è la scelta di chi vuole arrendersi. È il riposo dei più coraggiosi.
Ha già deciso come sarà il suo funerale: le sue ceneri verranno sparse in mare a Lanzarote (Isole Canarie, Spagna). Vuole che i suoi cari la ricordino con un sorriso perché è così che lei li ricorderà quando riposerà in pace. Senza sofferenza.