Tularemia: cause, sintomi e trattamento

La tularemia, detta anche febbre dei conigli, è una malattia causata da un batterio. Le infezioni si registrano principalmente in Europa, Asia e America del nord. Continuate a leggere per scoprire tutto su questa patologia.
Tularemia: cause, sintomi e trattamento
Leonardo Biolatto

Scritto e verificato il dottore Leonardo Biolatto.

Ultimo aggiornamento: 27 maggio, 2022

La tularemia è una malattia infettiva causata dal batterio  Francisella tularensis, resistente ai climi freddi e a sostanze come la candeggina. Tuttavia, esistono molti altri disinfettanti comunemente usati in casa che riescono a distruggerlo.

Siamo di fronte a un caso di antropozoonosi, ovvero un’infezione che circola tra gli animali, ma che può essere trasmessa anche all’essere umano in presenza di determinate condizioni.

Il batterio prolifera grazie ad alcuni piccoli mammiferi tra cui rientrano i topi e gli scoiattoli, così come lepri e conigli. La sua distribuzione mondiale colpisce l’emisfero nord: dall’Europa, all’Asia all’America del nord.

La malattia è stata scoperta nel 1911 in California, dove fu individuato un focolaio che portò all’identificazione del batterio. A oggi, dopo oltre cent’anni dalla sua scoperta, la tularemia è considerata una vera e propria arma biologica, motivo per cui è obbligatorio per legge notificare la scoperta di nuovi casi alle autorità.

Dati sulla tularemia

La tularemia colpisce principalmente due fasce di età: i bambini tra i cinque e i nove anni e gli anziani con più di settantacinque. Prevale in due periodi dell’anno: da maggio ad agosto e da novembre a febbraio.

Per via delle sue modalità di contagio, alcune persone risultano più esposte per via della professione svolta o delle loro particolari abitudini. Ad esempio:

  • Giardinieri: sono esposti all’inalazione dei batteri.
  • Veterinari: per il contatto diretto con gli animali.
  • Cacciatori: possono entrarvi in contatto tramite le carcasse degli animali oppure mangiando la cacciagione.

Modalità di contagio della tularemia

La tularemia si trasmette tra gli animali e da questi all’essere umano, ma mai tra persone. Una persona malata di tularemia non può contagiare un soggetto sano. Per questo non è necessario l’isolamento dei contagiati. Tra le possibili vie di trasmissione da animali a essere umano troviamo:

  • Contatto fisico: la forma di contagio più frequente. L’uomo entra in contatto diretto con il corpo dell’animale affetto da tularemia, in genere attraverso ferite o mucose esposte. Sono più a rischio chi vive in campagna, i cacciatori, i veterinari e i fattori. Il contatto può avvenire con animali vivi o morti.
  • Punture: sono stati identificati casi di artropodi trasportatori della malattia, come zecche o tafani. Negli ultimi dieci anni, inoltre, si è certificata la trasmissione da parte di animali precedentemente non presi in considerazione, come il gambero di fiume.
  • Acque contaminate: è una forma minore di contagio, ma non per questo da sottovalutare. Negli USA si calcola che fino al dieci per cento dei contagi siano dovuti al consumo di acqua contaminata dal batterio.
  • Inalazione: il batterio può trovarsi nelle polvere sottili prodotte dall’attività agricola. L’essere umano può inalare la polvere e permettere al batterio di attaccare il sistema respiratorio.
Ragazzo con ferita infetta.
Le ferite cutanee possono essere un punto d’entrata per la tularemia.

Sintomi della malattia

Il periodo di incubazione è breve, di norma di 3-5 giorni; si tratta del tempo che va dal momento in cui si entra in contatto con il batterio e la comparsa dei sintomi. Tuttavia, in alcuni casi possono passare fino a 15 giorni. mA seconda del modo in cui il microorganismo entra nel corpo, possiamo distinguere diversi tipi di questa malattia:

  • Ulcero-ghiandolare: è la forma meno comune. Si presenta quando il contagio avviene tramite contatto fisico attraverso la pelle, causando il formarsi di un’ulcera nel punto del contatto. Seguiranno febbre, infiammazione dei linfonodi, senso di stanchezza e cefalea.
  • Ghiandolare: è una variante dell’ulcero-ghiandolare ma senza ulcere.
  • Oculare: questo quadro clinico è caratterizzato da sintomi legati alla zona degli occhi, tra cui dolore oculare, secrezioni nelle palpebre, arrossamento e gonfiore dei tessuti molli dell’area palpebrale.
  • Orofaringea: è una manifestazione della tularemia nell’apparato digerente. Si presenta quando il contagio avviene tramite l’ingestione di carne infetta o acqua contaminata. Il soggetto accusa febbre, mal di gola, vomito, diarrea e ulcere nel cavo orale.
  • Polmonare: si tratta di una polmonite causata dal batterio della tularemia, con sintomatologia che comprende tosse, febbre, dolore alla gabbia toracica, mancanza d’aria.
  • Tifoidea: è la manifestazione meno frequente, ma la più grave. Prevede l’infiammazione di organi come la milza o il fegato, febbre molto alta e disturbi digestivi che causano vomito e diarrea.
Donna con gangli linfatici infiammati.
L’infiammazione dei linfonodi è un segnale caratteristico della tularemia.

Trattamento della tularemia

La tularemia può essere trattata efficacemente con terapia antibiotica. È una grave malattia, ma se individuata e trattata per tempo può essere curata.

Il trattamento con antibiotici può avvenire per via orale o tramite iniezioni intramuscolari oppure endovenose. Sarà il medico curante a valutare, a seconda del quadro clinico e della caratteristiche fisiche del paziente, il farmaco più adeguato. Potrà scegliere tra la streptomicina e la gentamicina, invece se si opta la via orale prescriverà la doxiciclina.

Oltre agli antibiotici, andranno adoperate le misure necessarie a trattare i vari sintomi. Si possono dunque prescrivere antipiretici, antiemetici e analgesici. Il ricovero ospedaliero si rende necessario se alcuni organi sono a rischio.

Una volta guariti la persona diventa immune al batterio per il resto della sua vita, dunque non corre il rischio di un nuovo contagio. Ciò nonostante, gli scienziati hanno riscontrato casi di recidiva, per cui le misure obbligatorie di prevenzione non vanno abbassate neanche da parte di chi ha superato la malattia.

Se siete entrati in contatto con roditori, cacciagione o se avete svolto attività professionali di veterinaria o attività da fattoria e avete la febbre, consultate il medico di fiducia.


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