Secondo alcune stime, la sindrome di Gilbert è una condizione che colpisce l’1% della popolazione mondiale. Ciò nonostante, in alcune popolazioni si manifesta in una media compresa tra il 5 e il 10%. Si tratta di un disturbo ereditario, che in genere viene diagnosticato in individui adulti tra i 20 e i 30 anni.
Spesso la sindrome di Gilbert viene rilevata in seguito a un’analisi del sangue di routine. La malattia venne descritta per la prima volta nel 1902 da Augustin Nicolas Gilbert e Pierre Lereboullet. Da qui il suo nome.
La sindrome di Gilbert è una condizione benigna, ma cronica. È dovuta a una mutazione genetica ereditaria. Molte persone ignorano di esserne affette, poiché non provoca una sintomatologia facilmente riconoscibile.
La sindrome di Gilbert
La sindrome di Gilbert è una condizione ereditaria caratterizzata dalla presenza di alti livelli di bilirubina nel sangue. È nota anche con il nome di ittero ereditario non emolitico.
Si tratta di una disfunzione in presenza della quale il fegato non elabora correttamente la bilirubina. Tuttavia, non danneggia l’organismo. Bisogna segnalare che la bilirubina è una sostanza formata dal corpo a partire dai globuli rossi che invecchiano e vengono elaborati dal fegato.
In genere la bilirubina viene escreta dall’organismo attraverso la materia fecale e le urine. Se presente in eccesso, il fegato non riesce a elaborarla correttamente. In seguito a ciò, la sostanza inizia a essere assorbita dalla pelle e dai tessuti.
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Cause
La sindrome di Gilbert è la conseguenza della ridotta capacità degli epatociti (le cellule del fegato) di espellere la bilirubina. Quando i globuli rossi invecchiano e si deteriorano, rilasciano emoglobina, che viene metabolizzata e forma un gruppo di sostanze chiamate “eme”.
L’eme si trasforma in biliverdina e poi in una sorta di prima versione della bilirubina, chiamata “non coniugata” o “indiretta”. Quando questa sostanza passa attraverso il fegato e si combina con l’acido glucuronico, ne deriva una reazione che provoca come risultato la bilirubina diretta o coniugata.
Se tale meccanismo viene completato adeguatamente, la bilirubina diventa solubile in acqua e secreta tramite la bile. Alcune persone presentano un gene mutato che impedisce la normale produzione dell’enzima che regola la produzione di bilirubina. Questo fenomeno provoca la sindrome di Gilbert.
Sintomi e diagnosi della sindrome di Gilbert
Il sintomo principale della sindrome di Gilbert è l’ittero, ovvero la colorazione giallastra della pelle e degli occhi. Questo fenomeno è maggiormente evidente in situazioni di forte stress, durante un digiuno prolungato, nel corso di malattie infettive o quando si compiono grandi sforzi.
Un altro sintomo tipico della sindrome di Gilbert è l’incapacità di elaborare correttamente alcune sostanze, soprattutto determinati farmaci. In particolare, si presenta il rischio di tossicità da paracetamolo. Non ci sono altri sintomi riconoscibili.
Mediante l’analisi del sangue, si rilevano alti valori di bilirubina indiretta, mentre quella diretta si mantiene entro parametri normali. Anche il pannello epatico fornisce risultati nella norma, così come la diagnostica per immagini non rivela alcuna anomalia.
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Trattamento
La sindrome di Gilbert non richiede un trattamento, poiché si tratta di un’anomalia benigna. Non incide in alcun modo sulla qualità di vita della persona, al punto che in numerose occasioni passa del tutto inosservata.
Non si rilevano nemmeno complicazioni né bisogna adottare una dieta specifica. Il soggetto può svolgere normalmente esercizio fisico. L’unica precauzione che bisogna adottare riguarda l’assunzione di alcuni farmaci, come il paracetamolo.
Come segnalato, la sindrome di Gilbert provoca un maggiore rischio di effetti epatici secondari in seguito all’assunzione di alcuni farmaci. Per il resto, una persona affetta da questa condizione può condurre una vita perfettamente normale.
L’ittero può presentarsi e risolversi da sé diverse volte nel corso della vita, senza rappresentare un rischio per la salute. Una volta che la diagnosi è stata formulata, non è necessario sottoporsi a monitoraggio medico.
Bibliografia
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