La maratona: rituali, biochimica ed emozioni del corridore

Una maratona rappresenta una sfida per il corpo e per la mente, e coinvolge un gran numero di processi fisiologici e psicologici. Ce ne parla il dottore in psicologia Marcelo Ceberio.
La maratona: rituali, biochimica ed emozioni del corridore
Marcelo R. Ceberio

Scritto e verificato lo psicologo Marcelo R. Ceberio.

Ultimo aggiornamento: 09 agosto, 2022

La maratona è la massima espressione delle competenze richieste dal running. Si tratta di una vera e propria sfida per il corpo, dal momento che coinvolge la struttura ossea, muscolare e l’apparato cardio-respiratorio, al tempo stesso mette a dura prova anche la mente. Cervello, emozioni e stato fisico entrano in sintonia.

Emozioni, immagini cognitive, azioni e neurotrasmettitori si risvegliano in una sinergia assoluta nel mondo del maratoneta, dove ogni corsa è una sfida personale e un feedback per gare successive.

La ritualità nella preparazione

Dopo la maratona è possibile osservare la presenza di resti “fossili”, ruderi che i netturbini non hanno ancora rimosso: bottiglie di plastica schiacciate, frammenti di numeri indossati dai corridori, gel idratanti che risplendono al sole, volantini… In sintesi, testimoni morti (anche se, nella memoria, più vivi che mai) che dimostrano il passaggio degli ultimi tratti della maratona.

Per le persone che corrono per lunghe distanze non è abituale gareggiare molte volte all’anno. Nei calendari annuali delle corse non ci sono molte maratone che segnano distanze di 42, 30 o 21 km; d’altra parte, neppure la fisiologia umana consente di sottoporsi ripetutamente a sforzi supremi senza un considerevole margine di recupero.

La scarsa frequenza delle maratone impedisce che la partecipazione si trasformi in un fenomeno di routine, conferendo a questo fatto una certa attrattiva adrenalica.

D’altra parte, per l’atleta dilettante esistono tre momenti: la settimana precedente, quella della corsa e la settimana successiva alla gara.

Partecipanti a una maratona.

L’allenamento durante la settimana precedente si basa su recuperi energetici o corse leggere per poi scemare; ci si dedica a un certo riposo, che riguarda soprattutto il corpo. Il cervello del corridore, di fatto, non smette di pensare alla corsa, ai tempi o ai ricordi dell’ultima maratona né di dedicarsi allo studio mentale del percorso.

L’intera settimana è permeata dalla presenza di una certa ritualità. Al tempo stesso, è costantemente presente una certa carica adrenalinica (che comporta anche l’aumento dei livelli di cortisolo), una tensione muscolare che non consente un riposo rilassato e che è destinata a crescere con l’avvicinarsi del giorno fatidico.

Si consiglia pertanto di riposare due giorni prima della gara. In altre parole, se la maratona si svolge di domenica, dormire bene il venerdì, perché il sabato è un giorno di tensione nel quale di solito i sintomi non compaiono durante la giornata, ma fanno irruzione di notte, quando si cerca di conciliare il sonno, oppure provocano bruschi risvegli prima che suoni la sveglia.

Due ore prima dell’inizio della prova ha inizio lo svolgimento del rituale del corridore di fondo. Questi sa che l’ausilio della vaselina solida o di altri elementi ha un effetto miracoloso e che ci sono tre punti fondamentali; tutto quello che sembra banale o insignificante può trasformarsi in una vera e propria tortura, lungo quei 42 chilometri.

Il passaggio successivo consiste nell’indossare gli ammennicoli del corridore: le sue scarpe. Naturalmente, non si tratta di quelle nuove: si consiglia sempre di non inaugurare nessun accessorio il giorno della maratona, in modo da evitare duroni, fastidi e sfregamenti imprevisti. Ben lavate, le scarpe usate portano i segni del corridore: la forma e l’arco del suo piede, l’appoggio del tallone.

In questo momento, la tensione adrenalinica è al suo massimo. I muscoli si trovano in uno stato di tensione, stessa sensazione che trova una via di sfogo nell’apparato digerente e che favorisce la minzione una, due e perfino tre volte.

La casa è immersa nel silenzio. È molto presto e il corridore ha cercato di non svegliare nessuno, con i rumori dei preparativi. I ragazzi, ormai adolescenti, non sono ancora arrivati, mentre il più piccolo dorme nella sua stanza. Tutto è avvolto da un clima di calore domenicale, di aurora dei giorni di festa.

Si siede in cucina e fa colazione con un piatto di pasta che ha riscaldato nel forno a microonde. Si idrata bene, come nei giorni precedenti. Mangia un po’ di frutta. Prende un caffè forte: una discreta quantità di caffeina tonifica il corridore.

È nervoso. Nella propria mente, proietta immagini positive. Indossa l’orologio controllando che funzioni correttamente. Anche se lo usa tutti i giorni, oggi è diverso: non può assolutamente fermarsi. Si fa una montagna di domande, molte delle quali si è già posto in precedenza.

Si chiede se si è allenato bene, anche se la sua estrema meticolosità lo porta a pensare sempre che avrebbe potuto fare un po’ di più. Non tutte le settimane ha totalizzato circa 80 km di fondo: non sa se l’aver superato i 1.000 km darà i risultati sperati.

Si carica sulle spalle uno zaino contenente alcuni vestiti puliti e un marsupio che non userà, perché fa male alla vita e preferisce non correre rischi. Si dirige verso la porta di casa, in attesa che i compagni del club passino a prenderlo. Fa fresco e dice a se stesso: “È una bella giornata per correre!”.

Direbbe lo stesso anche se ci fossero 40 gradi o se cadesse una pioggia torrenziale, oppure cercherebbe di vederne il lato positivo. A quest’ora, tra le nuvole, filtrano i primi raggi di sole.

La solitudine del corridore di fondo

Anche se lungo il loro percorso i fondisti sono accompagnati dalle manifestazioni di affetto di amici, familiari e sconosciuti, mentre sono impegnati nella gara sono concentrati, soli con se stessi. Assorti, anche se in compagnia del loro gruppo di allenamento, cercano di non perdere ogni momento di emozione che la maratona riserva loro.

I corridori di fondo sanno che, una volta che il segnale di inizio è stato dato e l’orologio elettrico ha iniziato il conteggio, i primi passi vengono eseguiti lentamente, a causa della grande quantità di partecipanti alla maratona. Passi che, con l’avanzare dei metri, aumentano la propria velocità e che si trasformano prima in trotto e poi in corsa.

Il maratoneta, concentrato, ascolta i rumori del proprio corpo e si mantiene vigile, in ascolto delle tensioni, dei dolori muscolari, delle sue emozioni e di ognuno dei ricordi che la sua mente alterna nel corso del tragitto: parole pronunciate dal coniuge, la figura dei figli che funge da stimolo, le persone che ormai non ci sono più.

Quando supera un corridore cieco o su una sedia a rotelle e lo incoraggia, si emoziona. Stimola chi ha interrotto la propria corsa mostrando evidenti segnali di stanchezza (le mani che stringono la vita). A volte saluta qualcuno che lo incoraggia lungo il percorso. In altre occasioni, invece, è completamente concentrato.

Si unisce a un gruppo che segue il suo stesso ritmo, che in questo modo lo aiuta a superare alcuni chilometri segnando il passo. Cerca di camminare per qualche passo, quando si ferma in un punto di sosta per idratarsi, bevendo acqua e una qualche bevanda isotonica. Sa che deve camminare, perché le volte in cui ha cercato di correre e bere allo stesso tempo ha finito infradiciandosi, e l’acqua, al di là della traspirazione, pesa e ostacola la corsa.

La verità è che il corridore di fondo è solo. Solo con la sua anima, il suo corpo, la sua strategia e le sue emozioni. Per i dilettanti, i primi dieci chilometri offrono la speranza di fare una buona corsa, comportano l’illusione di ridurre i tempi, a patto che il passo si regoli e rimanga aria sufficiente per i prossimi 20 chilometri.

Un obiettivo importante è quello di raggiungere la metà del percorso, anche se per la complessità della mente umana questo punto rappresenta un cardine che consente di vedere il bicchiere mezzo pieno oppure mezzo vuoto. Si dice: “Avanti, che siamo già arrivati a metà strada!”, oppure: “Ci manca ancora metà della corsa!”. Rappresenta anche una manifestazione del modo in cui il maratoneta si comporta nella propria vita, la scelta tra il presentare una predisposizione positiva oppure negativa.

Se non piove, è meraviglioso, perché la pioggia, anche se rinfresca, ottiene anche il risultato di bagnare i vestiti e, soprattutto, le scarpe e i calzini. Così, durante la corsa, il corridore cambierà la meccanica del proprio movimento.

Anche il calore e l’umidità sono nemici del corridore di fondo. La combinazione della pavimentazione delle strade con l’azione del sole ostacola l’idratazione e porta a un consumo eccessivo dei sali minerali, indispensabili perché i muscoli funzionino in modo stabile o, in altre parole, resistano allo sforzo.

Infatti, se il fondista si sente bene dal punto di vista muscolare, la sua mente promuove positivamente la sua corsa. Se invece i muscoli sono privi di vigore, non è possibile neppure pensare chiaramente. Si finisce per sottoporsi a un pericoloso sforzo eccessivo, che impedisce di pensare a una strategia da seguire.

Ragazza che corre.

La maratona: il muro dei 30 km e lo spirito combattivo

Il grande spettro che si pone sulla rotta del maratoneta è il trentesimo chilometro. Nella mente del corridore accade qualcosa. Qualcosa che in realtà non si bene che cosa sia, ma che, in misura maggiore o minore, si segnala per la comparsa di un insieme di pensieri aberranti che danneggiano temporaneamente il godimento della corsa.

Tuttavia, l’organismo è saggio. A questo punto del viaggio, le virtù delle endorfine bilanciano i pensieri catastrofici e lasciano spazio al piacere.

Per i corridori dilettanti, questi ultimi 10 km sono segnati da pensieri tortuosi, dolori muscolari, stanchezza generale e ansia in procinto di raggiungere il culmine. La mente non smette di pensare. Ciononostante, questi sintomi tendono a presentarsi a diverse intensità (e in alcuni casi non si manifestano affatto), ma a volte si aggravano a causa del panorama fornito dal contesto.

In questo momento è possibile perdere la concentrazione e osservare l’ambiente circostante. Ancor peggio, si dipende maggiormente dall’esterno che dall’interno: si presta più attenzione al corridore che ci supera rispetto a quello che abbiamo superato.

In sintesi, in questa dimensione del viaggio si aggiunge una serie di fattori, molti dei quali presentano delle controindicazioni:

  • Cognitivi: pensieri negativi spontanei che si confrontano con pensieri positivi.
  • Organici: deficit di sali minerali, dolori muscolari, crampi dovuti allo sforzo eccessivo, piaghe, ferite o vesciche causate dallo sfregamento, che si confrontano con le tendenza del corpo a stabilizzare queste disfunzioni.
  • Emotivi e chimici: ansia di concludere o proteste per le lesioni fisiche, contro la sensazione di benessere prodotta dalla quantità di endorfine presenti nel sangue. E a livello nervoso, la dopamina fornisce motivazione e il cortisolo resistenza.

Questi fattori non sono dissociati, bensì agiscono in completa sinergia e si influenzano l’uno con l’altro. Per esempio, un semplice pensiero positivo può generare dosi di endorfine e dopamina che forniscono la forza d’animo necessaria per spazzare via un dolore muscolare.

D’altra parte, in questo trentesimo chilometro viene distribuito un altro po’ di gel idratante, una sorta di melassa che ci ricorda lo sciroppo per la tosse della nostra infanzia, ma anche questo aspetto presenta i propri rischi. Intorno a questo punto della corsa, le riserve di carboidrati si riducono e l’ingestione di una bustina di gel significa innalzare nell’organismo l’indice glicemico  in misura elevata.

Il nostro corpo rileva quindi un aumento del glucosio presente nel sangue e secerne immediatamente insulina per contrastare i livelli di glucosio, generando l’effetto contrario a quello desiderato.

Inoltre, in questi istanti è necessaria una forte motivazione. Il maratoneta si stimola, si dice delle cose, fa internamente il tifo per se stesso, come se fosse il primo che supererà il traguardo. A volte, si lascia influenzare dal sostegno delle persone che assistono alla maratona. È una coreografia continua che passa dal mondo interiore a quello esteriore: voci interne ed esterne stimolano e motivano il corridore, soprattutto nel momento in cui il suo morale è più basso.

Al di là di queste spiegazioni tecniche, il maratoneta possiede un grande spirito combattivo e fa del sacrificio una sorta di missione, un’icona del suo lavoro nel tentativo di raggiungere la meta. E tutto ciò provoca eccitazione.

Essere un maratoneta rappresenta una prova di volontà, è l’impiego della tenacia per il raggiungimento dell’obiettivo.

Questo avvicinamento all’obiettivo si osserva quando ormai i chilometri percorsi non si contano più, ma si inizia a calcolare quelli che mancano. È negli ultimi 5 chilometri, intorno al trentasettesimo, che si profila un tempo da sottrarre: all’arrivo mancano non solo pochi chilometri, ma anche pochi minuti.

Niente è più lo stesso dopo i 42.195 metri della maratona

Interiormente, i dolori non scompaiono. Si è però più vicini alla fine e il fulcro del dolore corre verso la possibilità di concludere. Così, i chilometri passano. Infatti, quando a comparire davanti agli occhi del corridore dilettante è il quarantesimo chilometro, il maratoneta sente di essere ormai praticamente arrivato. Questi ultimi 2.195 metri vengono percorsi come se la strada scorresse sotto i suoi piedi.

Le immagini che anticipano l’arrivo inducono le endorfine a funzionare a pieno regime, che, di passaggio, spazzano via gli ultimi dolori che ancora assillano il corpo. Ormai, si appartiene più all’arrivo che alla corsa. Ci si concentra unicamente sull’ultimo rettilineo.

Maratona: corridore che taglia il traguardo.

La fine della maratona

Quando il cartello indicatore dei chilometri annuncia il numero 41, ci si trova di fronte all’ultimo chilometro della vittoria. In questi ultimi chilometri, il record ormai non ha più importanza: ciò che conta è arrivare. Per l’eroismo ci sarà spazio dopo.

Il corridore pensa che all’arrivo troverà la sua famiglia, la sua sposa, i suoi figli, i suoi genitori, anche qualche amico, e forse alcuni dei suoi amici che, come lui, corrono, ma che non hanno partecipato alla maratona. Quando intravede che ci sono altre persone che lo incoraggiano, sente un brivido che lo percorre: è l’indizio dell’introduzione all’arrivo. Ascolta i “Bravo!”, gli “Avanti: mancano solo pochi metri!”, i “Su, su, forza, che ormai sei alla fine!”, le grida, gli applausi…

Entra nel rettilineo finale; da lontano, vede i segnali dell’arrivo. Aumenta il passo, il corpo si erge diritto. Tra la gente cerca il viso di suo figlio, quello di sua moglie, di suo padre: continua a cercare fino a lasciarsi sorprendere dal loro incoraggiamento. Si emoziona; a volte, compaiono perfino le lacrime.

Ormai la posizione e il record non hanno più alcuna importanza. Sente di aver ottenuto la vittoria per il solo fatto di essere arrivato. Gli rimangono solamente alcuni metri: supera il traguardo sollevando le braccia e guardando il cielo.

La vita offre sensazioni meravigliose, ma quel momento, quello in cui il maratoneta raggiunge il traguardo, rappresenta una delle emozioni che meritano di essere vissute con la massima intensità. Per giorni, poi, il corridore continuerà a ricordare e rivivere ogni tratto della corsa e nella sua immaginazione continueranno a vibrare le immagini e i sentimenti dell’intera esperienza.

Il tutto fino a quando non inizierà a programmare la sua prossima corsa. Ed eccolo che si dirige, nella sua solitudine, verso la prossima sfida.


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