Kintsugi: la filosofia di vita che guarisce le ferite dell'anima

Il kintsugi ci insegna che la vera guarigione emotiva avviene quando impariamo ad accettare le ferite dell'anima e ci permettiamo di sentirle. Scopriamo insieme questa filosofia di vita.
Kintsugi: la filosofia di vita che guarisce le ferite dell'anima

Ultimo aggiornamento: 05 agosto, 2022

Molte persone credono che le ferite dell’anima possano essere guarite nascondendo il dolore e acquisendo un atteggiamento positivo verso la vita. Tuttavia, per il kintsugi, la guarigione emotiva è possibile solo quando diamo a noi stessi l’opportunità di accettare e sentire le ferite interiori, dando spazio alla tristezza, all’angoscia e alla rabbia.

Il kintsugi è una tecnica giapponese secolare che consiste nel riparare i pezzi di ceramica rotti. Rappresenta anche una filosofia di vita che difende l’idea che non ha senso ignorare o nascondere le ferite. Al contrario, la bellezza delle cicatrici viene rivalutata, affermando che le rotture fanno parte dell’oggetto, lo rendono unico e ne definiscono l’identità.

Cos’è il kintsugi?

Kintsugi è una tecnica giapponese che consiste nel prendere i pezzi di ceramica rotti e unirli con uno smalto spolverato d’oro, in modo che le cicatrici dorate risaltino. Sebbene la ceramica riprenda la sua forma originaria, questi segni ne trasformano l’essenza in una versione più profonda e unica.

Da un punto di vista psicologico il kintsugi è una metafora usata per riferirsi all’affrontare situazioni difficili, alle loro conseguenti ferite emotive e alla capacità degli esseri umani di guarire.

Con questa premessa, l’ideale è imparare a mettere insieme i pezzi di un cuore spezzato, accettando il dolore e le ferite causate dalle perdite e dagli ostacoli. Sono queste che ci fanno crescere come persone e che ci rendono unici.

Dai spazio al dolore per guarire

In campo emotivo, il lutto è il processo che si occupa di rimarginare le ferite causate dalla perdita di un lavoro, di una persona, di un progetto. Se vogliamo superarlo, è fondamentale fare spazio alla tristezza, all’angoscia e alla rabbia. Cioè, dobbiamo lasciare che tutte quelle emozioni si prosciughino, provandole invece di evitarle.

Ci è stato insegnato che dobbiamo evitare il dolore a tutti i costi e che lo stato ideale di ogni essere umano è la felicità. Tuttavia, questa finzione ha solo frustrato la cura emotiva in qualsiasi processo di lutto.

Invece di affrontare il dolore come dovremmo, attraverso l’accettazione e il sentimento, lo evitiamo, lo reprimiamo e lo rifuggiamo come se fosse possibile semplicemente scartarlo.

Il dolore è scomodo, non solo per chi lo soffre, ma per chi lo vede riflesso negli altri. Per questo insistiamo su soluzioni rapide, incoraggiando la persona colpita a uscire dal suo stato pietoso: “è ora di voltare pagina, divertiamoci perché la vita è una sola” ; “Dai, non è un grosso problema, rallegrati andrà tutto bene”.

Secondo il kintsugi, a lungo termine questi interventi che ci impediscono di raggiungere la vera guarigione, che si ottiene abbracciando il dolore e le ferite emotive.

Molte ceramiche rotte nel kintsugi.
La ceramica rotta che viene riparata è la metafora di quelle cicatrici che ci rendono individui unici, con una storia personale.

Guarire le ferite emotive attraverso il kintsugi

Nel suo libro Kintsugi, l’arte della resilienza Céline Santini ci insegna il percorso che dobbiamo intraprendere per guarire le ferite emotive, secondo questa tecnica giapponese.

1. Pausa

Questa fase corrisponde all’esperienza di eventi avversi, che spezzano i nostri cuori e le nostre anime. Facendo riferimento alla metafora del kintsugi, invece di buttare via il pezzo rotto, bisogna dare all’oggetto una seconda possibilità, unendo le sue parti.

Applicato a noi, questo implica che accettiamo situazioni avverse, lasciamoci trasportare dal dolore e raccogliamo i pezzi dell’anima per guarirla e darle un’altra possibilità.

Per questo, è necessario scegliere come riparare la situazione e visualizzare come può finire dopo questo processo. Di fronte a questa idea, Santini sottolinea che, quando decidiamo di riparare qualcosa di rotto, non solo ne riconosciamo il valore, ma lo moltiplichiamo.

Scegliere di riparare noi stessi non è altro che un atto di amor proprio.

2. Assemblare

La fase successiva è mettersi al lavoro, ma con pazienza e senza fretta. In altre parole, proprio come il materiale per il kintsugi è assemblato con cura e consapevolmente, dobbiamo prepararci prima di intraprendere il processo di guarigione.

Si tratta di raccogliere lentamente i nostri pezzi rotti, come se stessimo per intraprendere qualcosa di sacro: la nostra stessa trasformazione. Dobbiamo essere chiari su quali sono le parti e come le assembleremo.

Secondo Santini si tratta di fare le cose in modo diverso, prendersi il tempo per osservarsi dall’esterno, portare alla coscienza quei comportamenti che riproduciamo inconsciamente e che ci portano a soffrire.

Pertanto, quando raccogliamo i nostri pezzi, non dovrebbe essere l’ossessione che aiuta a riempire il vuoto, ma dovremmo prenderci il tempo per trovare alternative che ci calmino, ma ci facciano anche sentire meglio con noi stessi (ballare, dipingere, fare sport, Scrivi leggi).

3. Aspettare

Nel kintsugi, la fase di asciugatura è fondamentale per la ricomposizione dell’oggetto. Questo è ciò che ne garantisce la solidità e la durata.

Quindi, perché la ricomposizione dell’anima sia efficace, ci vuole tempo. Una volta assemblati i pezzi, sarà anche necessario lavorare in modo che non si muovano dal loro posto.

Ciò implica lasciare che le cose si mettano a posto per chiarire. Lascia che la psiche lavori al suo ritmo mentre guarisce da sola. Pertanto, in questa fase è importante essere pazienti ed evitare di accelerare la cura.

4. Riparare

Una volta sistemati i pezzi, ciò che segue è la lucidatura del risultato. Dobbiamo eliminare le irregolarità e le imperfezioni ancora visibili, ovvero concentrarci su come migliorarle.

Applicato alla ricostruzione personale, questo significa imparare dagli errori del passato e modificare quegli aspetti che non ci permettono di vivere appieno.

5. Rivelare

Nella tecnica kintsugi, questa fase corrisponde all’applicazione della polvere d’oro sulle cicatrici dell’oggetto, conferendogli una lucentezza per avvicinarsi al risultato finale.

Nel processo di ricostruzione personale, significa darsi il permesso di essere di nuovo felici, di brillare di nuovo. Una volta raggiunto questo punto, ci rendiamo conto di quanto sia stato facile smettere di godersi le piccole cose della vita e quanto sia stato difficile rimettersi in piedi.

Ecco perché iniziamo a essere più attenti e a proteggerci di più da tutto ciò che può affondarci. Inoltre, mostriamo ciò che abbiamo imparato e le nuove persone che siamo diventati.

Rilascio del dolore nel kintsugi.
Rilasciare il dolore non significa dimenticare quello che è successo, ma raggiungere la libertà accettando le cicatrici.

6. Sublimare

In questa fase, la riparazione è già eseguita. Ciò a cui allude l’ultimo processo è godersi un lavoro ben fatto.

Si tratta di ammirare e contemplare la nostra trasformazione, prendersi il tempo per sentire il risultato, assumere le cicatrici visibili con orgoglio ed esporre la creazione alle persone a cui teniamo.

Santini sottolinea l’importanza di condividere questa esperienza con gli altri, poiché ognuno deve affrontare le avversità in qualsiasi momento della propria vita. Sarà di grande aiuto per gli altri se siamo orgogliosi dei nostri progressi, della bellezza delle nostre imperfezioni e del nostro viaggio verso la guarigione.

La speranza della guarigione

Santini sottolinea che la metafora del kintsugi trasmette un messaggio di speranza, poiché ci ricorda che le cose possono essere riparate. Inoltre, ci insegna che la ricomposizione finisce per essere una versione migliore di quello che era prima l’oggetto, in quanto appare unico e più bello.

Perché non applicare questa filosofia di vita per iniziare a sanare le nostre ferite interiori?


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  • Santini C. Kintsugi. El arte de la resiliencia. España: Libros Cúpula; 2019.

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