Digiuno è il termine usato per descrivere l’astensione dal cibo per diverse ore. Per definizione, è la quantità di tempo che si trascorre senza mangiare fino alla colazione successiva. Il digiuno quotidiano è associato al ritmo circadiano e di solito varia tra le 10 e le 14 ore.
Tuttavia, il digiuno può essere compreso in un periodo di tempo che va da appena 4 ore a 40 giorni senza mangiare, con la possibilità di sopravvivere sfruttando le riserve energetiche.
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Il metabolismo: non mangiare per diverse ore e conseguenze
Il digiuno si divide in 3 fasi che dipendono dalla principale fonte di energia utilizzata, carboidrati (zuccheri e carboidrati), lipidi o grassi e proteine.
Prima fase
In questa fase, il carburante energetico è dato dal glucosio e dai carboidrati. Il glucosio circolante viene metabolizzato e quindi le riserve di glicogeno vengono degradate nel fegato e nei muscoli.
Questo può fornire energia per 24-48 ore. In questo stadio, il glucosio viene indirizzato per il 25% al sistema nervoso centrale, mentre il resto va ai muscoli e ai globuli rossi.
Trascorso questo tempo, si va in ipoglicemia (diminuzione della glicemia), che può manifestarsi con vertigini, sudorazione fredda, mal di testa e stanchezza generale. Inoltre, i trigliceridi immagazzinati vengono degradati, in modo che gli acidi grassi possano essere metabolizzati più velocemente.
Quando l’apporto energetico al cervello inizia a essere insufficiente, l’attività del sistema nervoso simpatico aumenta, con il conseguente rilascio di catecolamine (adrenalina e noradrenalina) che favoriscono la degradazione di lipidi e proteine.
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Seconda fase
Se continuiamo a non mangiare, dopo l’ipoglicemia, si verifica il consumo di lipidi. I livelli bassi di zucchero plasmatico agiscono sull’ipotalamo, sul sistema nervoso autonomo, sulle ghiandole surrenali e sul pancreas.
Quando i trigliceridi immagazzinati nel tessuto adiposo vengono degradati, rilasciano acidi grassi nel plasma, che vengono convertiti in un intermedio metabolico in grado di generare energia sotto forma di ATP. O nei corpi chetonici, che sono anche combustibili energetici.
Viene rilasciato l’ormone della crescita, che limita l’assorbimento del glucosio da parte dei tessuti periferici. Inoltre, favorisce la degradazione dei lipidi e la sintesi dei corpi chetonici.
Aumenta la noradrenalina e l’adrenalina, che inibiscono l’assorbimento del glucosio muscolare e la secrezione di insulina. Viene anche promosso il rilascio di glucocorticoidi, come il cortisolo, che favorisce la scomposizione delle proteine con il rilascio di aminoacidi per produrre più glucosio.
Terza fase
A questo punto non è più considerato digiuno, ma fame. È uno stato avanzato di digiuno prolungato, praticamente irreversibile. Non ci sono più riserve di carboidrati o lipidi e le proteine continuano ad essere degradate. È presente un coinvolgimento multiorgano, con aumento di volume dovuto alla ritenzione di liquidi (edema).
Non mangiare per diverse ore, quali sintomi si manifestano?
Dopo 4-6 ore dall’ultima assunzione di cibo si manifesta ipoglicemia, con sintomi quali debolezza generalizzata, vertigini, cefalea e alitosi. Altri sintomi sono mancanza di concentrazione, disturbi della memoria, irritabilità e cattivo umore.
Non essendoci cibo nello stomaco, l’acido gastrico irrita il rivestimento dello stomaco causando gastrite. Ciò si traduce in bruciore e dolore nell’epigastrio.
La sensazione di fame stimola le abbuffate, in cui si preferisce consumare carboidrati e grassi in quantità maggiore del necessario. E il metabolismo rallenta per mantenere più riserve possibili.
Il transito intestinale ritardato provoca gonfiore, stitichezza e una sensazione di pienezza dopo aver mangiato. Tuttavia, un digiuno di 12-16 ore non è dannoso per la salute a lungo termine. In effetti, è ciò su cui si basa il protocollo del digiuno intermittente.
Rialimentazione: cosa succede dopo il digiuno
Quando si mangia dopo un periodo di digiuno, si produce il cosiddetto stato di rialimentazione, come meccanismo di aggiustamento per evitare un altro episodio di ipoglicemia. In questo caso i trigliceridi sono i primi ad essere metabolizzati.
Tuttavia, il glucosio passa attraverso un processo di adattamento. Inizialmente, a causa dei bassi livelli di zucchero nel sangue, solo le cellule del fegato catturano il glucosio, lo ricevono attraverso la vena porta e lo distribuiscono al cervello e ai tessuti periferici.
Ciò è dovuto al fatto che il fegato continua a sintetizzare il glucosio per alcune ore dopo l’ingestione, ma non per rilasciarlo nel sangue, bensì per ristabilire le riserve epatiche di glicogeno.
All’aumentare della concentrazione plasmatica di glucosio, aumenta anche la velocità di assorbimento del fegato. Progressivamente verrà metabolizzato attraverso la via della glicolisi e il suo eccesso sarà smaltito per la sintesi di glicogeno e trigliceridi.
Orari dei pasti
Per un’efficace metabolizzazione dell’energia contenuta negli alimenti non contano solo le porzioni, ma anche come la distribuiamo durante la giornata. Sarebbe buona norma consumare 5 pasti al giorno.
Inoltre, l’energia deve essere distribuita in questo modo: il 20% del totale a colazione, il 10% a merenda, il 30% a pranzo e il 30% a cena. È previsto uno spuntino tra colazione e pranzo e un altro tra pranzo e cena. Ciò si traduce nel consumo di cibo ogni 3 o 4 ore.
In termini di quantità, equilibrio e armonia è consigliabile distribuire nei pasti principali il 10-15% di proteine, 15-30% di grassi e 55-75% di carboidrati. Occorre includere tutti gli alimenti della piramide nutrizionale.
D’altra parte, il digiuno intermittente è considerato salutare se gestito in modo corretto. Consiste in un digiuno di 16 ore, con un breve intervallo di tempo per il consumo di cibo della durata di 8 ore. Poi di nuovo digiuno.
Non mangiare per diverse ore potrebbe essere un’opzione
Molti nutrizionisti consigliano di mangiare ogni 3-4 ore. Dividere il cibo lungo la giornata riduce l’ansia e mantiene la sensazione di sazietà; questo consente di fare scelte più corrette al pasto successivo.
Tuttavia, il digiuno intermittente può essere benefico per la salute purché sia gestito in modo adeguato. Bisogna infine considerare che smettere di mangiare di per sé non è l’unico fattore che interviene nella perdita di peso. Deve essere accompagnato da un adeguato piano dietetico e di esercizio fisico.
Bibliografia
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